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  • Writer's pictureLudovica Sanseverino

BJORK E L'INNOVAZIONE MUSICALE DI DANCER IN THE DARK

Updated: May 11, 2021

I primi approcci


Della mia infanzia ricordo tanti dischi. Ricordo distintamente la voce di Nelly Furtado in Whoa, Nelly!, uno dei miei album preferiti. Oppure le immancabili Spice Girls in Spiceworld, dive indiscusse degli anni ’90. Ricordo Janet Jackson in The Velvet Rope, Madonna in Ray of Light e i dischi rock di papà.


Quando parlo della mia giovane età mi risalgono alla mente tutti i pomeriggi che passavo sdraiata sul letto di mia sorella, nella nostra piccola cameretta in compagnia del caldo torrido dell’estate napoletana, a fissare lo schermo di MTV.


Sul canale passava di tutto: da Britney Spears a Beyoncè, dai Red Hot Chili Peppers a P!nk. Insomma, tutta la musica pop che ha accompagnato i primi anni 2000.


Ricordo chiaramente il video musicale di It's Oh So quiet, particolare nel suo genere: una cover della canzone di Betty Hutton, con un sound anni ‘50 particolarmente innovativo.


In mente mi appare l’immagine di quando, guardando il suo video, ballavo per tutta la stanza ed ero triste quando terminava.







Ero costantemente affascinata da quella figura inquietante; mi sentivo innamorata, rapita da quei suoni nuovi e da quegli occhi innocenti da bambina, dallo stile eccentrico, che definirei eclettico. It’s Oh so quiet è stato il primo approccio che ho avuto con la cantante di origini islandesi Bjork.


 

Piccola biografia


Sin da giovanissima è stata fortemente influenzata dall’arrivo della nuova punk wave, sviluppatasi fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, per poi approdare più o meno all’età di vent’anni in un genere dal sound soft.


Per questo, insieme a Einer Örn e Siggi Baldurson, formò il gruppo degli Sugarcubes. Debuttarono nel 1987 con il singolo Birthday che riscosse un enorme successo soprattutto in Islanda.


Dopo l’uscita del singolo, la voce unica di Bjork riscosse l’attenzione della stampa musicale inglese. Nel 1993 il suo primo album Debut ebbe un enorme successo, tanto che la cantante decise di trasferirsi a Londra per entrare in contatto con la nuova scena dance ed elettronica inglese.


A seguito del trasferimento, i suoni da lei sperimentati diventarono molto più techno ed imprevedibili, come dimostra l’album Post .



Dopo l’uscita dei primi due lavori, la ricerca dell’artista si fece sempre più innovativa, tanto da essere fortemente d’inspirazione alle nuove generazioni, soprattutto per la ventata di freschezza nel panorama musicale elettronico.


 

Dancer in the dark


Ricordo molto bene quando vidi per la prima volta Dancer in the Dark. Ero molto piccola e non capii il significato della storia. L’unica cosa di cui mi interessava davvero era la musica. Diretto da Lars von Trier, questo musical degli anni 2000 vede come protagonista Bjork, autrice dell’intera colonna sonora del film.


La storia narra di Selma, emigrante ceca e ragazza madre, che lavora in una fabbrica nella campagna americana. La donna sta perdendo lentamente la vista e al figlio Gene potrebbe capitare la stessa sorte, se non si sottopone ad un costoso intervento.


Un giorno un poliziotto che abita vicino alla roulotte viene ospitato da Selma e, sapendo della menomazione della ragazza, ruba tutti i suoi soldi, risparmiati per permettere al figlio l’intervento chirurgico. Il dramma avviene a seguito dell’omicidio del poliziotto da parte di Selma e si conclude con la sua condanna a morte per impiccagione.

 

Da piccola non facevo caso alla storia cruda che mi si presentava davanti. Agli occhi di una bambina, poteva sembrare tutto molto divertente. Durante la visione del film non si bada alla tristezza che assale i personaggi, ma piuttosto alle arie sognanti descritte musicalmente dalla protagonista.


Ogni canzone fa riferimento alla noise music, che prende come spunto melodico oggetti della natura o il contesto che ci circonda, trasformandoli in una sinfonia.


Un chiaro esempio lo si trova nella canzone Cvalda, che inizia con i rumori della fabbrica dove lavora Selma, mentre sogna di trovarsi in un musical hollywoodiano alla Fred Astaire


Il mondo descritto dalla ragazza non è malinconico come dovrebbe essere: rappresenta un universo ideale, in cui i musical sono realtà ma solo nella mente della protagonista.



Per questo Dancer in the Dark è stato definito quasi un anti-musical, perché si oppone alla visione idealistica della società americana, spensierata e felice, per far fronte alla vita vera dove i sogni e le illusioni possono salvarti, rinchiudendoti in un piccolo universo interno. Le canzoni del film si possono trovare nell’album Selmasongs.


Ancora oggi, resta uno degli album più innovativi del nostro secolo e fa parte di uno dei dischi più belli ascoltati nella mia infanzia.


 
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